Introduzione
Lo stretto rapporto esistente tra i mezzi di comunicazione di massa e gli eventi bellici è caratterizzato (fin dal XIX secolo) da una sorta di dipendenza reciproca: come i conflitti hanno avuto un peso sull'evoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione di massa, così questi ultimi sono stati utilizzati in misura sempre maggiore per fini politici, propagandistici e strategici.
È proprio a causa di motivi propagandistici che, in tempo di guerra, l'obbiettività nella trasmissione delle notizie è stata spesso minata dal ricorso alla censura, per motivi "patriottici" e "strategici".
Ogni guerra attira le tecnologie più moderne e oggi, nel XXI secolo, la guerra è diventata un evento mediatico che fa audience, tenendo il pubblico incollato allo schermo, non solo per vincere ma anche per convincere.
I media nei grandi conflitti del Novecento
Oggi, dunque, i conflitti sono seguiti, oltre che sui giornali, nei notiziari, nei notiziari radiofonici e televisivi e nei siti Internet, a volte addirittura in diretta.
Il primo mezzo moderno che ha consentito di accelerare le comunicazioni è il telegrafo ottico, inventato nel 1793 (in piena Rivoluzione Francese) da Claude Chappe.
Pochi decenni dopo, nel 1837, Samuel Morse brevettò il telegrafo vero e proprio, primo strumento in grado di trasformare l'informazione giornalistica in un mezzo capace di influenzare in tempi brevi l'opinione pubblica e il corso degli eventi bellici.
Nella guerra di Crimea del 1854 si assistette al primo tentativo organizzato dei mezzi di informazione di riferire alle popolazioni dei paesi coinvolti l'andamento di un conflitto; primo vero corrispondente di guerra della storia è considerato l'inviato del Times in Crimea, William Howard Russell, esperto di vicende militari. L'eco degli articoli di Russell fu tale da provocare la crisi del governo inglese in carica.
Il fotogiornalismo nella sua forma più matura si ritiene sia nato nella repubblica di Weimar, con l'utilizzo della fotografia come mezzo per manipolare l'informazione e tranquillizzare l'opinione pubblica, totalmente asservito al potere politico.
Assistiamo all'utilizzo delle prime misure censorie nella campagna d'Italia del 1859 e nella guerra di secessione americana, durante la quale gli editori dei giornali contrari alla guerra potevano essere rinchiusi in galera e i membri del governo operarono una vera e propria manipolazione delle notizie e dei resoconti delle battaglie.
È solo nel corso del XX secolo che si delineano le caratteristiche del moderno rapporto tra mass media e guerra: con la crescente diffusione di telefono, telegrafo e radio, i mezzi di comunicazione assunsero un ruolo sempre più rilevante che trasformò la guerra in un fenomeno sociale, riguardante anche la popolazione civile.
Il primo grande esempio della trasformazione del rapporto tra mass media e guerra è dato dalla Prima Guerra Mondiale: la guerra estende a milioni di persone un nuovo modo di vedere, pensare e comunicare. Durante la guerra il numero di spettatori nei cinema aumentò notevolmente: le immagini contenute nei cinegiornali e nei film di guerra, infatti, rappresentarono uno strumento decisivo per aumentare il consenso dei cittadini sulle scelte dei governi. Tutti i paesi coinvolti nel conflitto si dotarono di un apparato governativo di propaganda e la manipolazione delle notizie, attuata direttamente dai vertici militari e politici, fu la vera grande novità del periodo. Per rispondere alle esigenze militari si fece ricorso a un gran numero di fotografi, inviati al seguito delle truppe con attrezzature tecnologiche avanzate; questi contribuirono, insieme ai giornalisti, allo sviluppo di una stampa subordinata al potere politico, che non riportava la realtà dei fatti, facendo leva su sentimenti patriottici a discapito dei milioni di morti sul campo. I giornali furono arruolati dai governi con l'ordine di aderire alla causa nazionale e l'informazione perse definitivamente la sua obbiettività.
Nel dopoguerra si sviluppò e si diffuse rapidamente un nuovo, essenziale mezzo di comunicazione: la radio. Le autorità militari e politiche compresero ben presto le enormi potenzialità di questo strumento che consentiva di contattare contemporaneamente milioni di persone, influenzando l'opinione pubblica e penetrando nelle file nemiche. Sia l'Unione Sovietica che i regimi fascisti diedero alle trasmissioni radiofoniche un ruolo di primo piano, invadendo non solo la sfera pubblica ma anche quella privata. Lo stesso Hitler aveva dichiarato che la propaganda era l'aspetto più importante della vita politica (divenne in effetti il punto centrale della sua azione politico-sociale) e che la sconfitta nella Grande Guerra fosse avvenuta a causa della propaganda alleata. In Italia, la propaganda fascista istituì un controllo totale sulle trasmissioni radiofoniche, che portò nel 1929 alla nascita dell'EIAR (ente italiano audizioni radiofoniche), rigorosamente a sfondo fascista.
Dal 1939, fino al termine della guerra, nel 1945, si svolse il più grande scontro di informazione che un conflitto abbia mai conosciuto. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale ebbe ulteriore sviluppo la cosiddetta propaganda nera, cioè la diffusione di notizie false che demonizzassero il nemico: le trasmissioni dovevano sembrare credibili per creare confusione nelle linee nemiche e indurre i soldati alla diserzione. In Germania il regime creò la Propaganda Kompanien: giornalisti, fotografi e cameramen vennero arruolati in speciali divisioni dell'esercito, con il compito di influenzare il corso della guerra attraverso un controllo psicologico del morale in patria, all'estero, al fronte e in territorio nemico. In Inghilterra la BBC venne costretta a infrangere il proprio codice di obbiettività, censurando e filtrando informazioni ai propri 40 milioni di ascoltatori giornalieri. Grande importanza venne data anche ai film d'intrattenimento, utili per dissimulare la propaganda all'interno dei prodotti di svago; questa metodologia ebbe scarso successo e breve durata in Germania, dove i bombardamenti delle città e le testimonianze dal fronte di tutto parlavano tranne che di vittoria e patriottismo.
Una svolta totale nella rappresentazione mediatica di un conflitto si ha con la guerra del Vietnam, la guerra più conosciuta della storia nonché la prima guerra televisiva, portata avanti tra il 1960 e il 1970. Le scene delle battaglie, i bombardamenti dei villaggi e la vita dei soldati nella giungla arrivarono nelle case della popolazione comune. La censura non venne messa in atto e i giornalisti accreditati girarono liberamente sul campo. I filmati dell'epoca non erano trasmessi in diretta e andavano in onda uno o due giorni dopo gli avvenimenti, dando la possibilità di teatralizzare la drammaticità della tragedia, in modo che i soldati americani ne uscissero sempre puliti e innocenti (per esempio, i danni nei confronti della popolazione civile venivano rappresentati come danni collaterali inevitabili). Durante la guerra del Vietnam, i giornalisti vennero subordinati al potere in misura assai minore rispetto al passato: da questo momento in poi, l'opinione pubblica riuscì ad acquisire un peso sempre maggiore e si mostrò sempre meno disponibile a rinunciare al potere di informazione.
Con la Prima Guerra del Golfo (prima guerra satellitare negli anni Novanta del Novecento) l'integrazione tra informazione e guerra fu pressoché totale; la stessa conduzione del conflitto fu in buona parte determinata dalle strategie mediatiche, pianificate dai responsabili in modo strettamente connesso a quelle militari, tanto da meritare l'appellativo di "guerra degli inganni".