giovedì 14 febbraio 2019

Alternanza scuola lavoro littera chiara:l'immigrazioni e le conseguenze sull'istruzione.

L’immigrazione e gli effetti nelle scuole.
Premessa:  
Quest’anno, a seguito della mia bocciatura ho dovuto svolgere nuovamente l’attività di alternanza scuola lavoro. L’anno scorso avevo scelto di andare in una scuola media, in Viale Piave, dove comunque mi ero trovata molto bene; quest’anno invece ho scelto di andare in una scuola media in Via Milano, la scuola media Romanino. 
L’esperienza è iniziata il 21 gennaio ed è terminata il 2 di Febbraio, durante questo periodo sono stata collocata presso una classe terza: la terza B. L’assegnazione della classe non era predefinita, per tanto quando sono arrivata nella scuola mi è stata chiesta la mia preferenza e così ho scelto una terza; questo perché ritengo di sapermi relazionare meglio con ragazzi che si trovano in una fascia d’età tra i 12 e i 16 anni. 
La scuola in generale era frequentata da una maggioranza di ragazzi stranieri. Ad esempio nella mia classe c’erano 18 bambini di cui 14 provenienti da Pakistan, Iran, Iraq, Cina, Marocco, Africa ed india.  

Questa situazione a mio avviso è sia una risorsa che un problema: 
 è una risorsa perché i ragazzi imparano a vivere e a farsi coinvolgere in situazioni sempre nuove, imparano a vivere in una società multietnica che di conseguenza li porterà ad estraniarsi da qualsiasi pensiero e concetto razzista ma soprattutto crescono con una cultura generale maggiore rispetto a quella dei ragazzi che frequentano scuole a maggioranza locale poiché acquisiscono anche informazioni e usanze degli altri paesi.  
Mentre lo svantaggio  deriva dal fatto che all’interno delle classi il livello di preparazione è caratterizzato da una disomogeneità dovuta alla non conoscenza della lingua italiana. Infatti, ho verificato personalmente che i ragazzi provenienti dai paesi di asia ed africa sono privi delle basi elementari della lingua italiana. Per questa problematica sono arrivata alla conclusione che, vedendo i professori di lettere molto in difficoltà, ci sarebbe bisogno di mettere a disposizione della scuola degli insegnanti specializzati nell’alfabetizzazione dei ragazzi stranieri con incompetenza linguistica. 

 Dati e Svolgimento 
Uno dei fenomeni che si legano alla forte corrente immigratoria che interessa il nostro paese è quello dell’integrazione di figli di immigrati senza la cittadinanza italiana. 
Secondo un report del ministero della pubblica istruzione del 2018 sugli anni scolastici degli ultimi 35 anni c’è stato un deciso aumento, concentrato nel primo decennio del 2000. È necessario pensare che all’inizio degli anni ottanta erano meno di 10mila gli studenti stranieri e nel 2016\2017 erano 826.091. 

Se prendiamo gli aumenti verificatesi in questi numeri osserviamo crescite del 1,4%, come è stato negli ultimi cicli disponibili, o del 0,1% nel 2015/2016, con incrementi man mano più piccoli e decisamente minori di quelli registrati tra il 2006 e il 2007 sull’anno precedente, un +16,3% o nel 1996\97, +18%. 
Nello specifico, in Italia, il numero di studenti stranieri è passato da 196.414 nel 2001-2002 (2,2 per cento della popolazione scolastica complessiva) a 814.187 nel 2014-2015 (9 per cento del totale).  


Molti sono in ritardo rispetto al regolare percorso di studi
 (circa il 14 per cento degli iscritti alla scuola primaria contro l’1,9 per cento degli studenti italiani nel 2013-2014), non parlano l’italiano in casa (45 per cento) e provengono da condizioni socio-economiche svantaggiate (solo il 5 per cento ha un padre laureato). Esaminando i loro risultati nei test Invalsi, si riscontra un divario di circa 10 punti nella prova di matematica e di circa 14 punti nella prova di italiano (studenti della quinta classe primaria nel 2012-2013). Il gap si riduce a 9 e a 13 punti (rispettivamente per matematica e italiano) se si controlla per la lingua parlata in casa e scende ulteriormente (a circa 3 e a 5 punti) se lo si fa anche per le condizioni socio-economiche della famiglia (misurate considerando la condizione occupazionale dei genitori, la disponibilità di un luogo adatto per studiare, il numero di libri disponibili in casa). Quindi, e coerentemente con quanto riscontrato da altri studi, il divario scolastico tra nativi e immigrati in Italia è in gran parte spiegato dalla padronanza della lingua e dalle differenti condizioni socio economiche .

conclusioni:
 I risultati suggeriscono che politiche tese a migliorare la conoscenza della lingua italiana, come quelle previste nell’ambito dalla Buona scuola, sono utili per superare le difficoltà linguistiche incontrate dagli studenti stranieri, ma non sono probabilmente risolutive. Occorre intervenire per compensare il deficit prodotto da condizioni familiari avverse, sia per gli immigrati che per i nativi, anche per contrastare la dispersione scolastica. In Italia ben il 17,75 per cento dei giovani sotto i 25 anni non completa le scuole superiori, ben al di sopra dell’obiettivo UE del 10 per cento (dati Ocse). La percentuale è superiore al 20 per cento se si considerano i giovani residenti nelle regioni del Sud (25 per cento per la Sardegna) e i cittadini stranieri (33 per cento). 

 È quindi necessario intervenire sia con politiche di sostegno alle famiglie in condizioni di povertà che con politiche specifiche, soprattutto – ma non solo – nella fase prescolare. È quello che in Italia stanno provando a fare, con risultati incoraggianti, alcune organizzazioni non governative con progetti su piccola scala (ad esempio “Fuoriclasse”), che prevedono il coinvolgimento di studenti, docenti e genitori e che intervengono con attività sia scolastiche che extrascolastiche. L’importanza delle condizioni familiari avverse solleva anche il problema di quali politiche di lungo periodo attuare nei confronti dei flussi migratori. 

 Mentre infatti non è possibile scegliere le caratteristiche familiari dei nativi, è possibile orientare la composizione degli immigrati, ad esempio cercando di attrarre dall’estero individui con buon capitale umanoPolitiche di questo tipo sono attuate da tempo in paesi come il Canada, l’Australia e in parte negli Stati Uniti (Facchini e Lodigiani, 2014), ma non nella gran parte d’Europa, compresa l’Italia. Sembra però che le cose inizino a cambiare: anche il nostro paese di recente ha aderito alla direttiva europea che ha introdotto la Blue card al fine di favorire l’immigrazione di lavoratori qualificati. Per attrarre persone qualificate dall’estero, tuttavia, serve un mercato del lavoro che premia il capitale umano.  
La crescente emigrazione di nostri giovani laureati verso paesi con una struttura socio-economica più meritocratica suggerisce un sano scetticismo sulla capacità del nostro paese di competere nella distribuzione mondiale dei talenti.